2016-04-03

Cubare a Martinov

Ho visto filare alberi, migliaia di camion immobili accanto all'autostrada in attesa del lunedì per esser messi in moto, campi vuoti, eolie, campi di panelli solari, paesaggi di edifici industriali mostruosi e come un punto di riferimento umano un bosco dove le betule bianche estendevano le braccia per invitare i pini a ballare un valzer.
E siamo arrivati in questo piccolo paese che sta cadendo in rovina, imbocchiamo la strada che scende, serpeggiando fra stagni ed alberi, e scende fino a che non c'è più una strada e che arriviamo dritto sul punto dove ci sono la croce e il mulino, accanto al ruscello la foresta e il prato. 
La notte è più silenziosa ancora che a casa, ci sono solo case abbandonate nelle vicinanze, non ci passa ne autobus, ne treno; nemmeno una macchina ci viene, solo l'acqua che sorge da una fonte nel giardino e il ruscello che gorgoglia al bordo della foresta. Ma neanche quello si fa sentire la notte, nel buio si può solo addivinare la brezza che accarezza le cime dei pini. 
Il silenzio e il vuoto buio della notte durano a lungo, troppo lungo.
Il figlio s'impaurisce, non osa dormire nella camera da solo. Gli dico di sdraiarsi accanto a me nel letto larghissimo, ma quando dorme ha dei sogni e parla senza parole, si gira e rigira.
E poi sibilla il silenzio della casa, del paese abbandonato e aspetto che passino le ore.

L'alba fredda fa venire voglia di cafè. Mentre aspetto che gli altri si svegliono, guardo il paesaggio ma niente si muove. Ci sono solo la casa, il mulino ad aqua, la rimessa, il granaio che respirano l'aria delle loro vite stanche. Guardo l'orologio antico alla parete. Chiaramente il tempo si è fermato a Martinov.

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